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I Nostri Ricercatori

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La Fondazione Andrea Cesalpino dal 2006 al 2015 ha investito oltre un milione e mezzo di euro in borse di studio, per specializzazione medica, per medici già specialisti in attività ospedaliera e promozione della ricerca clinica.

Dr. Afete Hamzaj

Una Manager per la gestione dei dati clinici della Prostate Cancer Unit

Per rendere realizzabile la “Prostate Cancer Unit”, è stato elaborato un Data Base in grado di mettere in comunicazione i diversi specialisti e garantire una gestione integrata del malato. Il Data Base è quindi uno strumento di facile utilizzazione e di rapido accesso per tutti i partecipanti alla PCU. La creazione del Data Base per la PCU è stato il primo passo, ossia quello che precede l'analisi statistica dei dati. Il trasferimento dei risultati di una sperimentazione dipende infatti dall'accuratezza del metodo e delle procedure con cui viene svolta. Ogni fattore, che può intervenire nel ridurre tale accuratezza, concorre infatti alla perdita di validità dei risultati della ricerca stessa. L'Oncologia Medica del Usl8 di Arezzo si distingue per la sua attenta e numerosa partecipazione a trials internazionali, specialmente nell'ambito di neoplasie genito-urinarie. Il Data Base utilizzato per la Prostate Cancer Unit è un mezzo fondamentale per l'individuazione del paziente tipo che può partecipare a un trial clinico in base ai criteri di inclusione ed esclusione prefissati da ciascun trial.
Il Data Manager in questo processo ha il ruolo di gestione e coordinamento delle sperimentazioni cliniche, garantendo l'applicazione delle “Good Clinical Practice” (GCP) durante lo svolgimento dei protocolli. Il Data Manager gestisce i contatti con il “Principal Investigator” (PI) e con i suoi collaboratori all'interno del reparto oncologico e con altri professionisti, quali il farmacista, per il rifornimento del farmaco sperimentale, i microbiologhi e i patologhi, per la preparazione di campioni ematici e/o tessutali e, infine, il Comitato Etico, per garantire la tutela dei diritti, della sicurezza e del benessere dei pazienti. Infine, va considerato il rapporto che si instaura con il paziente. Per quest'ultimo infatti il Data Manager può diventare un punto di riferimento in grado di recepire le segnalazioni legate al protocollo di studio a cui partecipa e garantirne il benessere.
In questo contesto il Data Manager è attivamente coinvolto nell'organizzazione delle procedure generali dello studio, quali la richiesta e la programmazione di esami diagnostici e di laboratorio, il corretto approvvigionamento e la conservazione dei medicinali in sperimentazione. Inoltre, assicura il rispetto delle GCP, la raccolta dati e la gestione degli audits, anche da parte degli delle case farmaceutiche e degli enti internazionali. La presenza dell'attività di ricerca permette non solo di espletare studi clinici in accordo agli standard qualitativi riconosciuti universalmente nel campo della sperimentazione oncologica ma, anche di traslare questo modus operandi all'attività routinaria di reparto che viene elevata a livelli qualitativi migliori grazie all'utilizzo di un metodo riproducibile e standard.

Raccontaci qualcosa di te… Dopo un percorso di laurea in Economia e commercio con specializzazione in Management aziendale e varie esperienze lavorative in ambito amministrativo bancario e nel controllo di gestione, mi si è presentata la possibilità di partecipare a un bando di concorso per la posizione di data manager in studi clinici. All'inizio avevo qualche insicurezza legata proprio al mio pregresso, ma la curiosità e, soprattutto, la volontà di rimettermi in gioco, ha preso il sopravvento. E ora, eccomi qua, in questa realtà professionale.
Puoi illustrarci in cosa consiste concretamente la tua ricerca? Come Data Manager, il mio compito è quello di creare il Data Base e quindi di raccogliere i dati, permettendo la comunicazione tra i vari specialisti per consentire una gestione integrata del malato. Inoltre mi occupo della gestione e coordinazione delle varie sperimentazioni cliniche, della gestione dei contatti con lo sperimentatore principale e con i vari collaboratori all'interno del reparto Oncologico e con gli altri specialisti. Infine, sono attivamente coinvolta nell'organizzazione delle procedure generali dei studi clinici, raccolgo i dati clinici e mi assicuro che i Good Clinical Practice (GCP) siano rispettati.
Quale ricaduta hanno i risultati della ricerca, anche a lungo termine, sulla cura e l’assistenza dei pazienti? La creazione del Data Base per la PCU permetterà la standardizzazione dell'iter diagnostico e terapeutico garantendo una condivisione e integrazione di competenze multidisciplinari.
Quali sono gli aspetti positivi e negativi che hai incontrato nel tuo lavoro di ricerca? La difficoltà principale che ho incontrato nella creazione del Data Base è quella tecnico informatico nel matching dei dati tra i vari reparti (urologia, anatomia patologica, oncologia e radiologia). Ma questa difficoltà tecnica è stata superata con la massima disponibilità del personale facente parte alla PCU. Parlo di professionisti che contribuiscono settimanalmente con l'incontro del Gruppo Multidisciplinare (GOM) a unificare le informazioni sui nuovi pazienti nel Data Base.
Come definiresti i rapporti che hai costruito all’interno del dipartimento/struttura/reparto presso ila quale hai operato (con pazienti, personale medico e paramedico, altri)? Come Data Manager mi interfaccio con i pazienti delle sperimentazioni cliniche. Nel tempo ho imparato a essere per loro un riferimento in grado di recepire le loro segnalazioni legate al protocollo di studio. Avendo poi come ruolo la gestione e il coordinamento delle sperimentazioni cliniche sono sempre in contatto con il principal investigator ma anche con il farmacista per il rifornimento del farmaco sperimentale, con i patologi e microbiologi per la preparazione dei campioni ematici e/o tessutali e con il Comitato Etico per garantire la tutela dei diritti, della sicurezza e del benessere dei pazienti.
Quale importanza ha per te la ricerca clinica nella pratica medica quotidiana? La presenza dell'attività di ricerca permette non solo di espletare studi clinici in accordo agli standard qualitativi riconosciuti universalmente nel campo della sperimentazione oncologica, ma anche di traslare questo modus operandi alla routine in reparto in modo da elevarne i livelli qualitativi grazie all'utilizzo di un metodo standard riproducibile.
Che significa fare ricerca clinica ad Arezzo e al “San Donato”? Lavorare ad Arezzo significa collaborare con un team di ricercatori altamente professionale, in un ambiente stimolante dove la ricerca clinica va di pari passo con l'attività ambulatoriale e di reparto. E' molto stimolante e le occasioni di imparare non mancano.
Quali sono le tue aspettative al termine del lavoro di ricerca? Vorrei che prima del termine della durata dell'assegno di ricerca la figura del Data Manager fosse inclusa e regolarizzata contrattualmente dal servizio sanitario come membro fondamentale delle team dell'oncologia medica. Senza il lavoro dei Data Manager infatti nessuno studio clinico potrebbe presentare dei dati veritieri e completi.

Dr. Silvia Magi

Ricercatrice

Raccontaci qualcosa di te… Svolgo la professione di podologo da 15 anni con grande passione, da sempre affascinata dalla patologia del 'piede diabetico' per il quale ho frequentato anche un master all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma presso il Policlinico Agostino.
Puoi illustrarci in cosa consiste concretamente la tua ricerca? La ricerca consiste nell'effettuare con strumenti semplici, indagini a carico degli arti inferiori per valutare l'eventuale presenza di patologie legate al diabete come la neuropatia sensitivo-motoria o la presenza di arteriopatia, spesso asintomatiche nei paziente con diabete.
Quale ricaduta hanno i risultati della ricerca, anche a lungo termine, sulla cura e l’assistenza dei pazienti? I nostri pazienti vengono studiati in classi di rischio secondo le linee guida internazionali (IWGDF) permettendoci di studiare un follow up adeguato per la loro cura.
Quali sono gli aspetti positivi e negativi che hai incontrato nel tuo lavoro di ricerca? Gli aspetti positivi di questa ricerca sono senz'altro molti: l'individuazione più rapida di eventuali rischi di sviluppare complicanze agli arti inferiori, la tempestività nella comunicazione con l'ambulatorio del piede diabetico per visite più approfondite ed accertamenti diagnostici di livello superiore, i controlli più frequenti per i pazienti più a rischio. Questo tipo di ricerca dato il numero cospicuo di pazienti comporta un grosso lavoro in termine di elaborazione dati e di tempo materiale per effettuare praticamente lo screening sui pazienti.
Come definiresti i rapporti che hai costruito all’interno del dipartimento/struttura/reparto presso la quale hai operato (con pazienti, personale medico e paramedico, altri)? Nel portare avanti questa ricerca, oltre ad una grande soddisfazione personale, ho avuto modo di sviluppare ottimi rapporti umani e professionali con tutto il personale medico e infermieristico (tutti sempre disponibili e collaboranti), ma soprattutto con i pazienti, motivo in più per continuare a lavorare con costanza e tenacia.
Quale importanza ha per te la ricerca clinica nella pratica medica quotidiana? La scienza si basa sulla ricerca, non solo per scoprire cose nuove, ma anche per validare alcuni percorsi già in atto.
Che significa fare ricerca clinica ad Arezzo e al “San Donato”? Arezzo e l'Ospedale San Donato sono una realtà in cui esistono già dell'eccellenze in vari Dipartimenti, per cui non si può essere altro che fieri di poter collaborare e contribuire al lavoro di tanti professionisti impegnati.

Dr. Stefania Cioci

Ricercatrice

Raccontaci qualcosa di te… Mi chiamo Stefania Cioci e sono una Psicologa Clinica e della Salute. Mi sono laureata all'Università di Firenze, presso la Facoltà di Psicologia; regolarmente iscritta all'Ordine degli psicologi della Toscana, tra i vari interessi in materia psicologica, la diagnostica mediante l'uso di test, è uno di quelli a cui ho dedicato molto del mio tempo, al punto da spendere diversi anni in Valutazioni Neuropsicologiche di giovani, adulti e anziani. Ho conseguito un master in Psicologia Giuridica presso la Scuola di Psicoterapia Comparata (Sede a Firenze) e sono specializzata in Psicoterapia Comparata, presso la medesima scuola.
Puoi illustrarci in cosa consiste concretamente la tua ricerca? Il mio compito in questo progetto di ricerca consiste nella valutazione neurocognitiva dei pazienti ritenuti a rischio. Tali pazienti sono stati precedentemente sottoposti ad una batteria di test specifici, somministrati dal medico/psicologo/psichiatra o dalla sua equipe di riferimento, sotto la sua supervisione, nei vari distretti del Dipartimento di Salute Mentale aretino: Salute Mentale Adulti, Salute Mentale Infanzia e Adolescenza, MMG, Consultorio e SerT. Il mio incarico consiste inoltre nella compilazione di un database anonimo che permetta di avere una descrizione epidemiologica degli esordi psicotici nella popolazione giovanile (16-34 anni) della Provincia di Arezzo.
Quale ricaduta hanno i risultati della ricerca, anche a lungo termine, sulla cura e l’assistenza dei pazienti? I dati raccolti mediante il progetto STEP ci permettono, oltre ai classici interventi farmacologici, di implementare e attivare percorsi terapeutici integrati precoci: psicoeducativi, familiari, di comunità, nonché psicoterapie cognitive specifiche per la psicosi e i più moderni percorsi di rimedio cognitivo.
Quali sono gli aspetti positivi e negativi che hai incontrato nel tuo lavoro di ricerca? Aspetti positivi:Il mio lavoro di ricerca è iniziato nel dicembre 2015 e mi ha permesso di lavorare all'interno di un'equipe multidisciplinare che è strumento centrale nel processo di diagnosi-intervento. E’ stato dimostrato che l’organizzazione di periodiche riunioni, dove i diversi professionisti si confrontano e condividono le proprie informazioni rilevate, permette di avere una visione più globale e completa dei casi di cui questi si occupano, ognuno secondo il proprio ruolo e la propria prospettiva. Lavorare in gruppo significa, infatti, riuscire ad utilizzare tutte le risorse di ogni singolo membro, valorizzando ogni opinione, ritenendola degna di ascolto anche se molto diversa dalla propria. Aspetti negativi: trattandosi di un progetto che copre l'intero territorio della provincia di Arezzo, è necessario un notevole dispendio di risorse per coprirlo tutto. I giovani a cui ci rivolgiamo non sono i pazienti abituali della Salute Mentale; spesso si tratta di primi accessi che si rivolgono al servizio ignorando che la loro problematica potrebbe fare capo ad un disturbo più grave. È quindi necessario andare verso il paziente, incontrandolo fisicamente nella struttura relativa al suo luogo di residenza, al fine di minimizzare i “drop-out”, cioè le interruzioni precoci del percorso diagnostico-terapeutico.
Come definiresti i rapporti che hai costruito all’interno del dipartimento/struttura/reparto presso la quale hai operato (con pazienti, personale medico e paramedico, altri)? Come detto sopra la mia attività in merito al progetto STEP è iniziata nel dicembre 2015. Tuttavia nel breve periodo ho costruito ottimi rapporti con i professionisti (medici, infermieri, educatori, psicologi) con cui sono venuta in contatto, dell'equipe e dei vari distretti. Rimane ancora un po' di strada da percorrere in quanto dobbiamo fare un ulteriore sforzo per coinvolgere un numero maggiore di professionisti nelle varie zone della Provincia, anche ribadendo l'importanza dell'intervento precoce in questo campo della Salute Mentale.
Quale importanza ha per te la ricerca clinica nella pratica medica quotidiana? La ricerca clinica è ad oggi fondamentale nella pratica medico/psicologica quotidiana. Viviamo in un tempo in cui non possiamo più permetterci di applicare al paziente l'unico metodo che conosciamo o che magari abbiamo studiato nella specializzazione. Semplificando, non tutti i pazienti sono adatti per la psicoanalisi, come non tutti i pazienti sono adatti per la terapia cognitivo-comportamentale e non tutte le psicopatologie trovano giovamento esclusivamente dalla farmacologia. Ribaltando la questione si potrebbe dire che un determinato approccio non è adatto per tutti i pazienti, ecc... Ciò ci riporta all'importanza del tailoring: effettuare una buona diagnosi al fine di individuare l'intervento adeguato per quello specifico paziente. E la ricerca scientifica moderna ci offre modelli di diagnosi-intervento specifici ed evidence-based.
Che significa fare ricerca clinica ad Arezzo e al “San Donato”? Come detto precedentemente la mia ricerca è di tipo territoriale. Semplificando, non c'è uno studio o un ambulatorio presso cui si reca il paziente per fare la valutazione neurocognitiva, ma in prima persona mi reco presso le strutture della Salute Mentale e vedo il paziente lì, in un ambiente che gli è senza dubbio più familiare. Tutto ciò significa venire in contatto con le diverse realtà del territorio (per es: i problemi di un paziente che abita a Bibbiena hanno un impatto sulla vita individuale diverso da quelli di un paziente che vive ad Arezzo città) avendo una visione d'insieme privilegiata.
Quali sono le tue aspettative al termine del lavoro di ricerca? Stiamo assistendo ad importanti cambiamenti nella psichiatria, e, grazie alle nuove scoperte neuropsicologiche, gli stessi concetti di psicosi e schizofrenia sono inquadrati oggi in una nuova luce. Nuovi modelli di diagnosi e intervento evidence-based sono presenti già in altre realtà dell'Area Toscana sudest e sono stati discussi nella recente giornata di formazione “Il percorso diagnostico terapeutico riabilitativo dei giovani a rischio esordio psicotico: l'intervento precoce”, tenutasi il 27/09/2016, presso l'Auditorium dell'Ospedale San Donato di Arezzo. La mia aspettativa è quindi di avere realizzato, al termine del 2017, una mappatura del territorio della Provincia di Arezzo, in merito agli esordi precoci, più completa possibile, che ci permetta di individuare i casi a rischio e attivare percorsi terapeutico-riabilitativi basati sull'evidenza scientifica e in linea con le altre esperienze della Salute Mentale di Area Toscana sudest. Sarebbe inoltre auspicabile che il percorso non si esaurisse nei due anni di borsa di studio, in quanto stiamo entrando in nuovi settori di ricerca sul disagio mentale e sono necessari ulteriori e approfonditi studi in merito.

Dr. Antonio Pulerà

Ricercatore

Raccontaci qualcosa di te... Mi occupo principalmente di psicologia dell’invecchiamento. Oltre alla laurea in Psicologia Clinica ho un Master in Neuropsicologia e una laurea in Scienze dell’Educazione e della Formazione. Nel contesto ospedaliero e principalmente nel reparto di Geriatria, grazie all’opportunità datami dal Direttore Dott. Mario Felici, ho potuto concludere diverse ricerche che spero siano state di aiuto agli operatori sanitari nel miglioramento dei rapporti con i pazienti e familiari. Le aree di ricerca hanno riguardato, a partire dal 2010, temi come la motivazione, la comunicazione medico-paziente, stress e strategie di coping ecc. ecc. In definitiva il mio obiettivo è quello di far capire come la psicologia applicata alla medicina possa aiutare non solo i pazienti e i loro familiari, ma anche e in certe occasioni soprattutto, i medici, gli infermieri e gli operatori sanitari in genere. Il lavoro di prendersi cura dell’altro è uno tra i mestieri a forte impatto emotivo e i livelli di stress raggiungono, a volte velocemente, picchi molto alti. Cerco, insomma di prendermi cura di chi cura. Ho tre figli, mi piace leggere libri di fantascienza e da giovane ho fatto il maestro di tennis, ma ora preferisco una passeggiata nei boschi.
Puoi illustrarci in cosa consiste concretamente la tua ricerca? Prendiamo per esempio uno degli elementi più controversi emersi dalla ricerca: sentirsi un peso per gli altri. Se compariamo i dati della sclerosi multipla e della reumatologia vediamo che questo sentimento è molto maggiore nei primi che nei secondi. Tutt’e due le malattie sono malattie invalidanti e impegnano il paziente per un lungo periodo di tempo. Ma perché essere un peso per gli altri passa da essere considerato uno dei tanti problemi acquisiti nelle malattie reumatologiche a diventare un problema importante per i malati di sclerosi? Dare una risposta basata solo sui sintomi delle due malattie non ci aiuta a strutturare una medicina orientata alla persona, perché possiamo trovare che il disagio percepito dal paziente sia lo stesso per differenti livelli di invalidità, vale a dire che il disagio percepito da tutt’e due le tipologie di pazienti può essere lo stesso anche se sono presenti differenti livelli di invalidità, oppure avere differenti livelli di disagio per uguali livelli di invalidità. Questo ci ha permesso di capire che il sintomo è sicuramente un elemento importante, ma se vogliamo passare da una medicina che cura l’organo a una medicina che cura la persona dobbiamo prendere in considerazione il suo illness, cioè ciò che rappresenta l’esperienza soggettiva dello star male, vissuta dal soggetto malato sulla base della sua percezione del malessere sempre culturalmente mediata.
Quale ricaduta hanno i risultati della ricerca, anche a lungo termine, sulla cura e l’assistenza dei pazienti? Facendo sempre riferimento all’esempio precedente pensiamo all’assistenza infermieristica: al momento del ricovero, avendo somministrato il test, possiamo ricavare la mappa della dignità del paziente e a quel punto attivare procedure che mantengano il più possibile l’autonomia sollecitando il paziente stesso, a far da sé, o aiutandolo solo in occasioni veramente difficili. In questo modo otterremo sicuramente la collaborazione del paziente nella condivisione della cura peraltro sostenendo il suo senso di dignità. A mio avviso anche il medico può trarre informazioni importanti dalla mappa della dignità di una persona, per esempio nella prescrizione di farmaci che aiutino il paziente a far fronte a dolore (come fonte di invalidità e quindi di sentirsi un peso) o per il controllo dell’ansia o dell’umore. Possiamo quindi ipotizzare che un approccio di assistenza e di cura basato sul valore della persona piuttosto che orientato all’organo malato, possa far aumentare l’efficacia della cura stessa.
Quali sono gli aspetti positivi e negativi che hai incontrato nel tuo lavoro di ricerca? Come aspetto positivo direi che è la ricerca stessa; poter capire come funziona la mente in circostanze a volte estreme, mi affascina. Come elemento negativo, la diffidenza delle persone a sottoporsi ai test, ma questo è umanamente comprensibile. Colgo l’occasione di ringraziare tutti i pazienti e i loro familiari che si sono sottoposti ai test dando a noi ricercatori materiale di un valore immenso.
Come definiresti i rapporti che hai costruito all’interno del dipartimento/struttura/reparto presso il quale hai operato (con pazienti, personale medico e paramedico, altri)? Semplicemente fantastici. Ho trovato molta collaborazione in qualsiasi reparto, anche se per un medico o un infermiere non è facile interagire con uno psicologo. C’è la credenza popolare che in qualsiasi momento tu li stia psicanalizzando! Posso assicurare che non è così. Un ringraziamento importante va alle associazione dei malati: l’AISM di Arezzo, l’ANED di Arezzo e l’AMRAR, senza il loro contributo non avrei avuto la possibilità di crescere come ricercatore.
Quale importanza ha per te la ricerca clinica nella pratica medica quotidiana? In questi due anni ho avuto modo di partecipare a due congressi nazionali della FADOI, la federazione nazionale dei medici internisti, ho sentito parlare di medicina della complessità e del caos. Le definizioni di tali contesti clinici sono caratterizzate dalla scarsa o dalla totale mancanza di riferimenti scientifici per la cura dei pazienti cronici e anziani. La ricerca ci offre l’opportunità di spostare il confine tra il noto e l’ignoto a vantaggio della salute di tutta l’umanità.
Che significa fare ricerca clinica ad Arezzo e al “San Donato”? Significa poter contare su una schiera di professionisti che sentono il bisogno di crescere, di fare rete, con l’obiettivo di dare al paziente il meglio, anche se questo non può accadere sempre. Poter integrare le visioni di molti specialisti significa poter curare la persona sotto un punto di vista più ampio e in relazione anche ad aspetti psicologici, sociali e culturali.
Quali sono le tue aspettative al termine del lavoro di ricerca? Ho sempre creduto che siano tre le attività che un ricercatore, nella mia posizione, debba poter sviluppare e cioè: la ricerca, la formazione e la clinica. Attraverso la ricerca ho la possibilità di conoscere, con la formazione la possibilità di trasferire le mie conoscenze ad altri e condividere le opinioni altrui, con la clinica la possibilità di intervenire positivamente nelle problematiche di chi si rivolge a me per un aiuto. Al momento, insieme al Dott. Felici e al gruppo di Arezzo, stiamo facendo formazione ai medici della FADOI di tutta Italia. Siamo stati invitati al Niguarda di Milano e in autunno andremo in Emilia. Successivamente sono in programma dei corsi Macroregionali nel nord, nel centro e nel sud dell’Italia. Per quanto riguarda la clinica quella viene applicata tutti i giorni presso il reparto di Geriatria dell’Ospedale di Arezzo. Nel futuro andremo avanti occupandoci questa volta del familiare che si prende cure del malato. Visto che un paziente non entra mai solo nella malattia, ma viene naturalmente accompagnato dai familiari, crediamo sia opportuno che la presa in carico debba essere più ampia e quindi, sostenere anche il familiare che si prende cura del malato presso il proprio domicilio.

Dr. Eleonora Garofoli

Ricercatore

Ad esempio, parlando di tumore polmonare, gli ultimi dati epidemiologici dimostrano una crescita esponenziale di questo patologia nelle donne (con aumento dell'incidenza e della mortalità), anche a causa dell'aumento del consumo di tabacco nella popolazione femminile. E' stato inoltre osservato che, a parità di fattori di rischio, le donne sviluppano più frequentemente il tumore, in particolare l'adenocarcinoma polmonare;si ammalano in età più giovanile e sono più frequentemente portatrici di varianti genetiche associate a peggior prognosi. Il progetto di ricerca ha, pertanto, lo scopo di inquadrare queste differenze biologiche all'interno delle principali patologie neoplastiche femminili al fine di riuscire a mettere in atto un percorso di tipo assistenziale più completo (dalla prevenzione al trattamento e alla successiva riabilitazione).

Raccontaci qualcosa di te... Mi chiamo Eleonora Garofoli e sono un'oncologa molto soddisfatta della propria scelta professionale. Da sempre mi è piaciuto aiutare le persone con problemi di salute provando ad essere, con la mia umanità e professionalità, vicina ai pazienti e ai loro familiari. Ho avuto esperienza con le diverse patologie neoplastiche, di tipo solido ed ematologico. Nel mio percorso professionale ho scelto anche di lavorare presso una Onlus di pazienti ematologici da seguire a domicilio per provare a gestire la patologia da un punto di vista più familiare. Questo nuovo progetto di ricerca rappresenta anche per me una novità che mi permette di essere sempre dalla parte del paziente, ma in un ruolo completamente diverso da quello svolto fino ad ora.
Puoi illustrarci in cosa consiste concretamente la tua ricerca? Il mio compito, infatti, è quello di gestire quotidianamente pazienti affette da varie patologie oncologiche femminili (mammella, ovaio, utero e polmone...) cercando, prevalentemente attraverso trials clinici, di affrontare la malattia tenendo conto di tutti quei fattori di variabilità di genere che permettono una migliore gestione di tutto il percorso oncologico.
Quale importanza ha per te la ricerca clinica nella pratica medica quotidiana? Nella pratica medica quotidiana la ricerca clinica è molto importante soprattutto perché fino a qualche anno fa c'era una bassa rappresentazione delle donne negli studi clinici e questo ha rappresentato, senza dubbio, un fattore cruciale che ha limitato,fino ad oggi, la raccolta dei dati. La donna era infatti considerata un “piccolo uomo” e si pensava che tutti i risultati progressivamente prodotti potessero essere meccanicamente traslati al genere femminile. Da qualche anno appunto si sta cercando di creare un percorso molto più complesso e specifico che ha lo scopo di delineare programmi, organizzare servizi ed informare nel modo più corretto la popolazione. La mia attività, pertanto, si inserirà in un modello molto più ampio su scala nazionale in cui si cercherà di creare in un prossimo futuro una specifica personalizzazione dei trattamenti oncologici.
Che significa fare ricerca clinica al “San Donato”? Fare ricerca clinica al San Donato è un'opportunità importante per me e per i miei colleghi di riuscire a gestire in modo completo i pazienti affetti da diverse patologie che fino a qualche tempo fa erano costretti a doversi allontanare dal proprio territorio per affrontare e curare la propria malattia. Tutto questo, infatti, viene quotidianamente reso possibile da una seria professionalità da parte dei diversi operatori (personale infermieristico, data manager e una cospicua presenza medica) e dalla collaborazione anche di diverse figure più recenti (onco-geriatria, psico-oncologa e nutrizionista) che ci supportano a 360 gradi nella gestione del paziente oncologico.

Dr. Giandomenico Roviello

Ricercatore

Raccontaci qualcosa di te... Mi chiamo Giandomenico Roviello, ho 34 anni e sono un oncologo dal 2015. Mi sono laureato in Medicina e Chirurgia a Napoli nel 2008 e mi sono specializzato in Oncologia medica a Siena nel 2015. Ho lavorato fino a poco tempo fa a Brescia. Mi piace suonare la chitarra, leggere e viaggiare. Mi definisco una persona socievole ed allegra.
Puoi illustrarci in cosa consiste concretamente la tua ricerca? Il mio progetto di ricerca si basa sulla ricerca di nuovi approcci in grado di prevenire e trattare i tumori che colpiscono più frequentemente gli uomini. Per la prevenzione cercheremo di sensibilizzare la popolazione maschile ad aderire ai moderni programmi di screening, mentre per i più giovani sono previsti incontri “formativi” sugli stili di vita in grado di prevenire la comparsa di neoplasie. In ambito di terapeutico seguirò i nuovi protocolli sperimentali attivi presso l’ Oncologia Medica, dell’Ospedale San Donato di Arezzo.
Quale importanza ha per te la ricerca clinica nella pratica medica quotidiana? La ricerca clinica ha notevoli ripercussioni sulla pratica clinica quotidiana, in quanto ci può fornire importanti informazioni su individuare nuove strategie terapeutiche, una migliore selezione dei pazienti allo scopo di aumentare sempre di più i tassi di guarigione.
Che significa fare ricerca clinica al “San Donato”? Trovo un’esperienza molto formativa quella di poter lavorare nell ‘Oncologia Medica di Arezzo che da anni è all’avanguardia nella ricerca e trattamento dei pazienti affetti da tumore maligno.

Dr. Afete Hamzaj


Negli ultimi anni, per le patologie relative alle neoplasie dell'apparato genitourinario, è divenuto necessario un approccio terapeutico multidisciplinare sia in ambito chirurgico, che radioterapeutico e farmacologico. La creazione di una “Prostate Cancer Unit” (PCU) viene considerata, allo stato attuale, la miglior ottimizzazione possibile dell'attività multidisciplinare in virtù di una definizione di livelli organizzativi adeguati all'elevata complessità e qualità decisionale. La PCU consente una collaborazione e un contributo simultaneo di tutti gli specialisti, garantendo risultati migliori e offrendo ai pazienti l'approccio terapeutico più opportuno, valutato attentamente in maniera collegiale e tarato sulle necessità di ognuno di essi.

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Dr. Silvia Magi

Piede Diabetico: un progetto per la sua prevenzione Il progetto sviluppato all'interno della S.C. di Diabetologia di cui è direttore la Dr. Lucia Ricci, si propone di valutare i pazienti che afferiscono alla Diabetologia per la prima volta con diagnosi di diabete o tramite il CCM.Lo scopo del progetto è quello di valutare le complicanze a carico degli arti inferiori nei pazienti diabetici, tramite uno screening identificando così in maniera precoce eventuali patologie, inserendo i pazienti in classi di rischio (basso, medio, elevato o elevatissimo) e programmare il follow up.Ciò permette di giungere in maniera tempestiva a diagnosi ed eventuali interventi terapeutici.

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Dr. Antonio Pulerà

La ricerca, il cui titolo è: la dignità come fattore di cura”, si propone di indagare come variano gli elementi che costituiscono la dignità del malato in virtù della malattia stessa; ovvero quali sono gli elementi della dignità del paziente portatore di differenti malattie croniche. Abbiamo anche testato come la dignità del paziente può essere vista dal familiare che se ne prende cura e dall’operatore sanitario che l’assiste durante il ricovero. I risultati hanno messo in evidenza che i domini della dignità variano in funzione della malattia acquisita e il peso di ogni singola voce, non è uguale per tutte le malattie. Inoltre, visto che la dignità del malato passa attraverso gli occhi di chi cura, abbiamo osservato che la persona mantiene la sua dignità, o la perde anche in maniera evidente, se chi si prende cura del paziente (familiare o operatore sanitario), non ha la capacità di stabilire una relazione basata su abilità comunicative che vedono il paziente come un persona degna di valore.

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Dr. Eleonora Garofali

Progetto di ricerca “Sanità di genere in ambito oncologico: prevenzione, trattamento e riabilitazione della patologia oncologica femminile” Responsabile Scientifico dott. Sergio Bracarda. Il progetto di ricerca è volto ad inquadrare specificamente la sanità di genere femminile in ambito oncologico. Già da qualche anno, l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) indica il “genere” come elemento portante per la promozione della salute finalizzata a sviluppare approcci terapeutici diversificati per le donne e per gli uomini. Più recentemente, in ambito oncologico, sono stati effettuati diversi studi epidemiologici che hanno evidenziato queste significative differenze di genere che riguardano non solo l'incidenza e l'aggressività delle patologie tumorali, ma anche la prognosi e l'eventuale risposta alle terapie oncologiche.

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Dr. Marco Matricardi

Progetto di ricerca “Gestione dei dati forniti dalla rete Arezzo Cuore e del sistema di telemedicina nella lotta alla sindrome coronarica acuta” Responsabile scientifico dott. Massimo Mandò

Dr. Stefania Cioci

Il progetto di ricerca STEP nasce sulla base di una serie di evidenze cliniche e scientifiche in merito alla psicosi e in particolare alla schizofrenia e si rivolge ai giovani tra i 16 e i 34 anni. La schizofrenia è una patologia cronica caratterizzata dalla persistenza di sintomi di alterazione del pensiero, del comportamento e dell'affettività, con una gravità tale da limitare le normali attività di vita della persona. La schizofrenia è spesso descritta in termini di sintomi "positivi" e "negativi" (o deficit). I sintomi positivi possono includere deliri, pensieri disordinati e allucinazioni e, generalmente, rispondono bene ai farmaci . I sintomi negativi sono i deficit delle normali risposte emotive o di altri processi di pensiero. Questi rispondono meno bene ai farmaci. Essi solitamente comprendono una sfera affettiva piatta o poco accentuata, scarsità a provare emozioni, povertà del linguaggio, incapacità di provare piacere, mancanza di desiderio di formare relazioni e la mancanza di motivazione. La ricerca suggerisce che i sintomi negativi contribuiscano maggiormente alla scarsa qualità di vita e alla disabilità funzionale più di quanto non facciano i sintomi positivi. Gli individui con importanti sintomi negativi spesso presentano una storia di scarso adattamento già prima della comparsa della malattia e la risposta alla terapia farmacologica è spesso limitata. Schematizzando, alla base dei sintomi negativi, sono stati individuati specifici deficit nelle cosiddette “funzioni cognitive”. La compromissione riguarda la maggior parte delle “funzioni cognitive” (attenzione, working memory, memoria episodica verbale, capacità di astrazione, funzioni esecutive, linguaggio, coordinazione psicomotoria), con deficit più accentuati nelle prove di attenzione, funzioni esecutive e memoria (Saykin et al., 1991). Quindi, se per i sintomi positivi, è funzionale l'intervento farmacologico, per i sintomi negativi è necessario un altro tipo di approccio. Da qui nasce il progetto STEP, il quale si propone di individuare i giovani a rischio esordio psicotico, mediante un percorso di diagnosi specifica che fa da presupposto per un intervento terapeutico-riabilitativo integrato precoce.

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Dr. Simona Mazzi

Progetto di ricerca “La terapia Neuro-psicomotoria – l’intervento precoce in età evolutiva”. Responsabile scientifico dott. Luciano Luccherino

Dr. Giandomenico Roviello

Il mio progetto di ricerca sarà focalizzato sulla ricerca di nuovi approcci in grado di prevenire e trattare i tumori che colpiscono più frequentemente gli uomini rispetto alle donne, che in termine tecnico viene definita Sanità di Genere maschile. Il mio interesse principale sarà la patologia oncologica genito-urinaria, ma anche altri tipi di neoplasie a maggior incidenza nel sesso maschile come i tumori del tratto gastro-enterico.

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Dr. Maresca Domenico

Progetto di ricerca "Valutazione svezzamento della ventilazione meccanica non invasiva (NIV) in UTIP". Responsabile scientifico Dott. Raffaele Scala.

Progetto volto a definire i criteri per la sospensione del trattamento con ventiloterapia non invasiva (NIV), laddove quest’ultima venga utilizzata per il trattamento della insufficienza respiratoria acuta de novo o cronica riacutizzata. La definizione di criteri per il decalage e l’interruzione della ventiloterapia possono rappresentare una valida guida per la “good clinical practice”, sia in termini di beneficio per il paziente, che di gestione delle risorse sanitarie.

Dr. Silvia Bertocci

Progetto di ricerca "Studio pilota sulla radioterapia stereotassica nei pazienti oligometastatici". Responsabile scientifico Dott.ssa Luciana Lastrucci, UOC Radioterapia Ospedale San Donato Arezzo Obiettivi del progetto • Identificare un gruppo di pazienti in cui la potenziale lunga storia naturale di malattia giustifichi un trattamento personalizzato, per rendere la prognosi ulteriormente favorevole • Verificare la possibilità di personalizzare i tipi di trattamento per i cari istotipi • Definire una metodologia d’inquadramento e gestione sufficientemente omogenea tale da poter costituire un possibile standard di trattamento dei pazienti che rientrino nella definizione utilizzata in questo protocollo • Valutare i possibili risultati in termini di controllo locale (LC), sopravvivenza libera da progressione (PFS) e sopravvivenza globale (OS) rispetto ai controlli storici, al fine di proporre eventualmente nella stessa categoria di pazienti un possibile studio controllato, teso a validare le metodologie applicate. 

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La Fondazione Andrea Cesalpino O.N.L.U.S. è iscritta nel Registro delle Persone Giuridiche della Prefettura di Arezzo in data 28/09/2004 al numero d’ordine 51 (DPR 361/2000) e all’Anagrafe Unica delle Onlus tenuta presso la Direzione Regionale.